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Installazione site specific realizzata durante il workshop che precede lo Spinafestival di Paola Anziché, Torino
Testo a cura di Michela Malisardi
Taglierino, scotch, pubblico e metri e metri di cartone ondulato. Ecco gli ingredienti per il workshop/
installazione di Paola Anziché allo Spinafestival. Il punto di partenza della sua riflessione è la costruzione plastica di strutture spaziali, a mo’ di origami, ma, sul piano comunicativo, ben lontana dall’antica arte di “piegare la carta”. La fattezza della loro lavorazione, che sicuramente ricorda quelle costruzioni, trova alba anche in altre creazioni. Il momento esecutivo consiste nella creazione di strutture tra gigantismo e dimensione umana, realizzate in cartone ondulato, molto lontane dalla dimensione scultorea accademicamente intesa. Il disegno costruttivo che caratterizza queste installazioni è in completa coerenza con la tendenza dell’opera aperta: sono pensate e pesate per essere interattive, occupare lo spazio e usufruite dal pubblico e dai performer che condurranno il workshop. Il materiale scelto è il cartone da imballaggio, freddo e industriale.
Paola Anziché riflette sulle sculture da viaggio di Munari, dove infatti la costruzione delle simmetrie si intreccia con la dimensione ludica, la carta si modella con la luce e l’integrazione spazio-temporale è dinamica e in continua evoluzione; è il materiale a suggerire e decidere il compimento e l’evoluzione. Così, tra sculture da viaggio, carta, installazioni plastiche, metalliche e organiche, l’Anziché pone l’attenzione sulla costruzione interattiva che avanza proprio grazie a un materiale asettico, il cartone ondulato Lo straniamento delle strutture temporanee di Paola Anziché consiste proprio nella costruzione di un polo interattivo dinamico e costruttivo, iniziando da una base, il cartone ondulato, che, sul piano d’utilizzo comune, si trova al polo diametralmente opposto. Il lavoro del’artista convoglia al suo interno lo studio sul movimento, esulando dall’approfondimento del corpo nei suoi meccanismi prettamente pulsionali, per approdare ad uno studio interattivo del corpo nello spazio. Attraverso il dialogo costante con le strutture temporanee, ricerca e crea la sua personale dimensione.
L’Anziché strania questo processo scultoreo/installativo che, nel primo caso, rimane opera-chiusa e fruibile musealmente, per decidere di essere il demiurgo che offre le materie prime per una creazione che non cesserà mai il suo essere “work-in-progress”. Occorre anche mettere in gioco il passaggio dall’idea di tempo, all’idea di temporalità, intesa come provvisorietà che, in questa sede l’artista ha voluto applicare come contrapposizione allo statuto di immobilità dell’oggetto opera-d’arte per renderlo un unicum dinamico con il fruitore del workshop. Abbiamo già visto il meccanismo dell’ “imparare facendo”, come lei stessa dichiara, in altri lavori precedenti, dove si è assistito al passaggio dal concetto di performance al concetto di workshop creativo. Paola Anziché è in continua ricerca di nuovi significati, etimologici e fisici, trascendenze di segno e nuove interazioni e possiamo solo immaginare il finale del suo nuovo progetto.