Catalogo/Catalogue
Greater Torino, Paola Anziché Paolo Piscitelli, 2010
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino, a cura di/curated by Irene Calderoni, Maria Teresa Roberto, Giorgina Bertolino
Chronophilia di Irene Calderoni
“Solamente tiene vida el istante del acto. En él, el devenir está inscrito. El instante del acto es la única realidad viva en nosostros mismos. Ser conscientes de ello es ya el pasado. La percepción bruta del acto es el futuro realizándose. El presente y el futuro están implicados en el presente-ahora del acto.” Lygia Clark, Livro-obra, Rio de Janeiro.
Il percorso si apre con una trappola. Un reticolo di tessuto candido e brillante si aggrappa alle pareti del corridoio, si inerpica sui muri e sale verso il soffitto, lasciando dietro di sé seducenti sagome di luce ed ombra. Poi la rete si china, diviene ostacolo, e il passante si trova preso nel groviglio, deve farsi strada lottando, deve creare da sé uno spazio di apertura, trasformando temporaneamente la struttura messa in piedi dall’artista. Spaziando, sviluppa la ricerca di Paola Anziché sul rapporto tra scultura, architettura e pubblico, ovvero tra oggetto, spazio e corpo. Ciascun elemento si dà in relazione agli altri e l’opera d’arte vive precariamente nel momento del loro incontro / scontro. L’interazione è una dimensione centrale nell’opera di Anziché, ne costituisce il principio generativo, volto ad esplorare i meccanismi della percezione e della costruzione del sé. La versione tradizionale del rapporto opera spettatore implica e riproduce una modalità “estensiva” di cognizione del mondo: nella fruizione i due termini del rapporto sono separati, ovvero si stabilisce una netta linea di demarcazione tra soggetto e oggetto. Nelle modalità partecipative invece questa separazione viene indebolita, al limite abolita, perché se l’oggetto non può più essere percepito come esterno rispetto al sé, reciprocamente si dissolve la separazione del sé dal mondo, e il corpo diviene un “ricettacolo” per tutte le forze dell’alterità. La psicanalista Suely Rolnik ha definito questa seconda modalità di apprensione sensibile della realtà “corpo risonante”, un concetto elaborato a partire dall’opera di Lygia Clark.1 La figura della grande artista brasiliana ha avuto un’influenza particolare sulla ricerca di Paola Anziché, che ha reso palese il riferimento nell’opera Aggrovigliamenti.
Un omaggio a Lygia Clark, una ricostruzione di Rete de elastico. L’opera è esemplificativa della pratica di Clark, che supera la concezione dell’opera d’arte autonoma per creare oggetti funzionali, dispositivi, macchine che mettono in moto il processo di interazione con il pubblico. Per realizzare Aggrovigliamenti, una gigantesca rete di elastici allestita negli spazi delle cisterne della Fondazione Merz, Anziché ha coinvolto numerose persone, studenti dell’accademia per la performance che ha visto poi la partecipazione attiva del pubblico in un evento emozionante e ludico. Il movimento di ciascuna persona influenzava quello degli altri, e insieme trasformavano la geometria della rete. L’attitudine giocosa e la dimensione relazionale della scultura sono elementi centrali anche in Shopping-t, 2004, presentata in mostra nella forma di un’azione che coinvolge lo staff del museo e il pubblico. I mediatori culturali indossanno speciali magliette progettate dall’artista e munite di tasche
collocate in corrispondenza di diverse parti del corpo, all’interno delle quali è stipata della frutta.
Le magliette danno vita a ibridi scultorei, in cui corpo, oggetto sintetico e materiale organico si fondono, sollecitando una riflessione sulla interdipendenza tra il sé e l’esterno. Questo si dà anche come relazione con l’altro nel momento in cui i mediatori offrono la frutta ai visitatori, che sono liberi di prenderla, mangiarla subito o portarla via con sé, anche al di fuori dello spazio della mostra.
Se la connessione tra spettatore ed oggetto si dà apparentemente come esperienza spaziale, la dimensione più rilevante da prendere in esame è in realtà quella temporale, il modo in cui la materia del tempo diviene qui mezzo espressivo. In Spaziando, l’oggetto si attiva nell’istante della percezione/fruizione, e non solo muta subitaneamente, ma porta traccia dei successivi incontri con gli spettatori, li registra in una trasformazione graduale di struttura, consistenza e cromia, volgendo in forma scultorea il trascorrere del tempo espositivo. Così, come non esiste opera se non nell’atto della sua percezione, non esiste una versione originale od originaria dell’opera, che vive proprio in questo flusso, nell’accadere della sua metamorfosi. L’idea di metamorfosi è centrale anche nella serie delle opere-tappeto, che acquisiscono forme e statuto diversi a seconda dei contesti e delle modalità di presentazione. Già il materiale di cui sono fatti, i tradizionali pezzotti, scampoli di tappeto intessuti a partire da stracci, rimandano a un’idea di transitorietà, per la loro natura di prodotti del reimpiego e per l’utilizzo che avevano in passato in relazione alla vita nomade dei pastori. I pezzotti sono composti di strisce multicolori, sono vivaci e robusti, e si caratterizzano per una resistenza meccanica, cioè mantengono facilmente una forma. L’artista crea i tapis cucendo insieme un certo numero di questi pezzotti, dando così vita a tappeti che hanno forme e proporzioni differenti. I tapis non sono però così completi, ma attendono di essere vissuti, usati e manipolati per acquisire una struttura specifica, benché temporanea. Nasce così la performance Tapis-à-porter, 2009, dove il tappeto si fa abito, viene “indossato” dai performer e acquisisce mutevoli configurazioni nell’interazione col corpo. L’oggetto e il corpo entrano così in un dialogo significante, che crea forma e senso, e in cui nessuno dei due termini può esistere al di fuori della relazione con l’altro. Un aspetto particolare delle performance è dato dalle coreografie; spesso Anziché si avvale di danzatori che interagiscono con le sue opere non in maniera immediata, ma secondo un copione molto definito e rigoroso, sorretto da una pratica consapevole e strutturata del movimento. Nelle fasi di preparazione della performance l’artista lavora con i danzatori alla creazione di figure, costruzioni di specifiche relazioni formali tra corpo e oggetto, un processo che viene documentato in mostra dal video Tapis-à-porter. Queste figure costituiscono un nodo centrale dell’opera di Anziché, soprattutto in relazione alla dimensione della temporalità, in quanto scaturiscono da un movimento bloccato, sono come fotogrammi di un potenziale sviluppo filmico, sono immagini sospese, estrapolate da un flusso di movimento e di tempo. Illuminante a questo proposito è l’opera Functional Fake Objects, 2007, un progetto articolato, nato da una serie di fotografie da cui è scaturita successivamente una performance coreografata. Se di solito la fotografia serve come traccia mnemonica e reperto documentale di ciò che accade in una performance, Anziché ribalta il processo e rimette in moto l’attimo cristallizzato nell’immagine fotografica. Questo discorso appare forse più evidente nell’opera Paesaggi istantanei, 2009. La performance, realizzata in collaborazione con la compagnia di ballo dell’Esperia, ha visto l’interazione dei danzatori con la rete elastica di Aggrovigliamenti. L’artista ha costruito una precisa coreografia, basandosi su fotografie scattate durante le prove. La performance si sviluppa come passaggio da una posizione di stasi a un’altra, il movimento è funzionale alla creazione delle figure, sorta di tableaux vivants. L’opera richiama alla mente l’immagine della “danza per phantasmata” teorizzata dal coreografo quattrocentesco Domenico da Piacenza e analizzata da Giorgio Agamben nel suo saggio sul Warburg.2 Domenico chiama fantasma un arresto improvviso tra due movimenti, tale da contrarre virtualmente nella propria tensione interna la misura e la memoria dell’intera serie coreografica. L’arresto è un cristallo di tempo, un’intensità in cui il corpo e, in questo caso, l’oggetto, mantengono traccia del movimento precedente e di quello a venire. Una pausa, dunque, non immobile, ma carica, insieme, di memoria e di energia dinamica. Nell’opera di Anziché questa immagine di tensione sospesa è enfatizzata, resa fisica dall’interazione tra il corpo dei danzatori e la struttura reticolare: è il concetto dell’energia elastica, che si accumula per via di un movimento per poi liberarsi grazie all’atto del rilasciare, ma nell’attimo di pausa tra un movimento e l’altro non c’è quiete, ma produzione di forza, potenziale energetico, intensità. Mi sembra che la stessa lettura possa applicarsi ai tappeti presentati in mostra in configurazioni scultoree, Tapis-accroché, Origami-tapis e Tapis-à-porter (tutti). La forma definita che prendono in questo caso non è definitiva, ma rimanda a un potenziale di cambiamento, richiama le passate performance e prelude alla possibilità di ulteriori utilizzi. Sono immagini dialettiche, per usare la terminologia di Benjamin, immagini in tensione tra passato e presente: “Al pensiero appartiene tanto il movimento quanto la sospensione dei pensieri. L’immagine dialettica appare là, dove il pensiero si arresta in una costellazione satura di tensioni. Essa è la cesura nel movimento del pensiero. Naturalmente il suo non è un luogo qualsiasi. Essa va cercata, in una parola, là, dove la tensione tra gli opposti dialettici è al massimo.” 3 Questa nozione della temporalità come divenire, come tensione dialettica tra passato e presente che si condensa nell’atto del presente riporta nuovamente alla ricerca di Lygia Clark, cui è dedicato un progetto in corso di Paola Anziché, Indagando. L’artista ha iniziato a intervistare gli ex-studenti di Clark, che negli anni Settanta insegnava alla Sorbona di Parigi. I corsi erano strutturati come laboratori, all’interno dei quali l’artista sviluppò delle proposizioni che contraddistinguono l’ultima fase della sua poetica e che intitolò Fantasmática do corpo o Corpo-coletivo. Ed è proprio questa memoria che Anziché cerca di recuperare, la memoria di un’esperienza, della partecipazione attiva alla creazione, della liberazione, tramite azioni collettive che coinvolgono il corpo, delle fantasie inconsce che chiamiamo fantasmi. Ma fantasmi sono anche, come si è detto, le immagini cariche di passato e futuro che si addensano in un attimo presente, proprio come questo lavoro di Anziché, che nel rievocare i ricordi dei partecipanti alle azioni di Lygia Clark, recupera e restituisce all’oggi un progetto estetico ancora carico di potenzialità.
1.
Lars Bang Larsen, Suely Rolnik,
“A Conversation on Lygia Clark’s
Structuring the Self”,
Afterall, Spring / Summer
2.
Giorgio Agamben, “Nymphae”,
Aut Aut, maggio - agosto
3.
Walter Benjamin, Parigi Capitale
del XIX secolo. I Passages di Parigi,
Torino, Einaudi,
pag.12
pag.13
pag.14
pag.15
pag.16
pag.17
pag.18
pag.19
pag.20
pag.21
pag.22
pag.23
pag.24
pag.25
pag.26
pag.27
pag.28
pag.29
pag.30
pag.31