Aa una intervista realiazzata in occasione della visita il 18 Aprile, 2016 a Bassano del Grappa
…Renata Bonfanti):

Quando ho cominciato a lavorare era vivo mio padre che era un architetto eclettico, un pò come Giò Ponti, era la stessa generazione, era una cultura dove entravano tutte le arti nella architettura d’interni, non era specialistica.
Lavorando con mio padre ho fatto le prime esperienze, per esempio, la proporzione con le misure, la luce, i colori; ho imparato molto, guardando l'architettura, ma anche vedendo tanti altri architetti, infatti tutti i miei tappeti nascono in funzione dello spazio interno, anche gli arazzi.
Gli arazzi nascono come pareti interne nella cultura medioevale europea, sono pareti anche nella cultura orientale, per esempio i pastori nomadi dell'Asia centrale sono stati i primi a tessere i tappeti annodati. Usavano queste tessiture come la loro casa, le architetture erano pochi legni su cui appendere queste cose, poi tutto l'arredo.
Non riesco a realizzare un lavoro di tessitura senza pensare al luogo in cui sarà disposto, perché tutte le caratteristiche sono importanti per la realizzazione del lavoro: il filato, il disegno e la sua dimensione.
Ho studiato a Venezia e in seguito ho studiato a Oslo tessitura, dove ho appreso il mestiere della tessitura a telaio e solo in seguito ho importato delle innovazioni nella tecnica e ho usato diversi tipi di filati anche plastici.
A me è sempre interessato l'aspetto sociale del lavoro della tessitura, la fatica del lavoro manuale è una cosa giusta, la tessitura richiede il tempo necessario ma come anche scrivere fatture tutto il giorno, ne richiede il suo tempo.
Lasciavo alle mie operaie la libertà di interpretare il colore e il tipo di punto, così che ogni tappeto diventasse un pezzo unico e personalizzato dalle operaie.
Era anche un modo per contrastare la serialita che in quel periodo era molto forte, nella società. Per me era molto importante l'aspetto umano e personale nel lavoro, nel mio laboratorio le operaie cantavano mentre lavoravano o pregavano, così scandivano il tempo del lavoro.
Il filo conduttore che mi ha portato a varie progettazioni è il senso di spazio che ha l'architettura, perché lavorando con mio padre architetto, impari le proporzioni, la misura di un tappeto, di una tenda non era mai casuale, la relazione con lo spazio era fondamentale.
Anche se abbiamo introdotto dei telai meccanici, abbiamo poi cercato attuare delle varianti ai tappeti con queste macchine, e ho cercato di impadronirmi dello strumento, cercando di renderlo più creativo, riappropriandomi della macchina, per realizzare una tessitura unica.
In Italia c’erano altre artiste che lavoravano come me con la tessitura, ma poche, come Marisa Bronzini di cui non si sono molte informazioni.