White Woooden Chair
maggio 2007
di Luigi Fassi

White Wooden Chair (2007) è un progetto costruito in più movimenti attorno a una struttura ipotetica di sedia, ridisegnata dall’artista a partire da un comune modello in commercio, e al corpo di una danzatrice che con essa interagisce.
Simile ad una partitura coreografica, il lavoro si sviluppa in una sequenzialità di immagini in transizione fluida l’una dall’altra, dove gesti, movimenti e figure della danzatrice evolvono in sintonia ergonomica con la modulazione geometrica dell’oggetto coinvolto. L’elaborazione progressiva delle immagini in White Wooden Chair segue un percorso svincolato da ogni finalità narrativa, atto ad evidenziare in termini sintetici ed essenziali la naturale armonia estetica tra corpo e scultura, spazio e movimento, fissità ed animazione. Se nei lavori precedenti dell’artista, come Functional Fake Objects (2006), rimaneva un forte rapporto di funzionalità tra le parti coinvolte, in questa nuova azione viene invece dissolto progressivamente ogni residuo di utilità immediata nell’interazione corpo-oggetto, per tematizzare in modo più concettualmente diretto il rifluire spontaneo tra esperienza fisica ed ambiente circostante.


Lontano dalla singolarità concentrata propria dell’evento performativo, inteso come eccezione e particolarità, l’intervento di Paola Anziché suggerisce una direzione essenzialmente diversa, interessata ad evidenziare l’interazione di organismo e ambiente come esito di una naturale armonia già ontologicamente propria all’esperienza umana. L’opera di Anziché traccia così la possibilità di verificare una compiuta omogeneità, un equilibrio durevole all’interno di elementi e dimensioni geneticamente diverse, quali spazio e corporeità, attività e passività. La centralità data in White Wooden Chair al gesto e alla ritualità del sedersi, che comporta un adattamento fisico a un oggetto artificiale, evidenzia l’intenzione di esprimere in un atto mimetico una molteplicità di significati, culturali e simbolici, che ripercorrono la storia della civilizzazione. Nei movimenti scanditi dell’azione operata dalla danzatrice, tale gestualità, tanto antica quanto immediata, viene scomposta e analizzata nelle sue singole possibilità, come molteplici istantanee, dove corpo e oggetti rivelano la loro armonica prossimità nella comune esperienza del vivere. Così come lo spettro cromatico si genera per scomposizione prismatica dall’unità della luce bianca, la struttura basilare della sedia trasforma imprevedibilmente la sua forma usuale, generando una molteplicità di nuovi bilanciamenti che coinvolgono il corpo e le sue posizioni geometriche. Elementi d’arredo e corporeità si ridisegnano vicendevolmente per tutta la durata dell’azione, muovendo da un grado zero iniziale sino a culminare di volta in volta in brevi momenti di equilibrio ipotetico.


Tale ricerca di coesione presente nell’intenzioni dell’artista non è data da una volontà di offrire un’interpretazione apologetica e pacificata del rapporto uomo-ambiente, ma è piuttosto il prodotto di uno sguardo attento alla particolarità mutevole dell’esperienza umana e ai significati trasmessi dal corpo, inteso come datità esistenzialmente primaria.
Nella riflessione di John Dewey, l’esistenza dell’arte è la prova concreta che l’uomo usa i materiali e le energie della natura con l’intenzione di espandere la propria vita, seguendo la struttura naturale del proprio organismo, cervello, organi di senso e sistema muscolare. Secondo le parole del filosofo americano, nell’arte l’uomo è capace di restaurare e perfezionare l’unione di sensi e azioni, ripristinando così la continuità dell’esperienza estetica con i processi normali del vivere. Il momento estetico non è dunque l’eccezione, ma la norma del vivere portata a piena evidenza e l’opera d’arte segue il modello e il progetto di un’esperienza completa, restituendolo in modo più intenso e concentrato.
White Woooden Chair opera in una direzione speculativamente prossima a quella deweyana, provando a rintracciare una famigliarità del gesto estetico con il procedere del corso ordinario delle cose. I singoli gesti compiuti dalla danzatrice, lontani da ogni finalismo diretto, rielaborano in termini intensificati ed essenziali il procedere dell’esperienza quotidiana dato dall’interazione di corpo e ambiente, caricando di qualità estetica quanto già appartiene all’esperienza di ognuno.


L’opera di Anziché è così una riflessione millimetrica sulla valenza estetica del gesto e sul suo portato simbolico. Il gesto è analizzato in White Wooden Chair nella sua essenziale struttura ritmica, come movimento costantemente in divenire, fatto di passaggi e tensioni, instabilità e rivolgimenti, posti tutti in relazione di compiuta continuità tra loro. Non dunque una mera successione di figure indipendenti, ma una variazione dinamica e orientata di cambiamenti, una strutturazione attiva di una processualità di gesti capaci di intensificare e concentrare l’esperienza degli atteggiamenti comuni del vivere in uno sviluppo ordinato.
L’artista affronta in tal modo un’idea complessa di arte e di cultura, coinvolgendo le motivazioni di base della comunicazione umana e ripensando in termini radicali le potenzialità umanistiche del design e del concetto di interazione. Oggetti e arredi sono ripensati dal punto di vista delle loro qualità sociali primarie, in relazione con la persona umana, dando così una nuova configurazione, filosoficamente aperta, all’idea di funzionalità.
Diventano in tal modo manifeste le molteplici influenze esercitate sull’opera di Paola Anziché da autori della coreografia contemporanea interessati al corpo in quanto campo di espressione primaria, come Meg Stuart e Xavier Le Roy, ma anche dai film d’animazione di Norman Mc Laren e dalle ricerche estetiche di Bruno Munari.

maggio 2007